kintsugi

Il Kintsugi (pronuncia: chinzughi) è un’antichissima tecnica giapponese che consiste nella riparazione di vasellame e stoviglie rotte tramite l’applicazione di lacche mescolate a polveri di metalli preziosi, come oro e argento, da inserire tra le crepe o plasmandoli nella forma del pezzo mancante.

Come forma d’arte iniziò ad evolversi nel XV secolo, durante il periodo Muromachi (1336 – 1573): una leggenda vuole che lo Shogun (il più alto titolo militare possibile) Ashikaga Yoshimasa, dopo che la sua tazza da tè preferita si ruppe, commissionò quindi a degli artigiani di ripararla in modo che fosse ancora utilizzabile e degna della sua carica. Per riuscire nell’impresa, gli artigiani utilizzarono della lacca naturale mescolata con polvere d’oro, ottenendo un risultato strepitoso dal punto di vista artistico e artigianale (nonché funzionale).

Kintsugi  è una tecnica artistica di restauro giapponese per ceramiche che risale alla fine del 1400. Le ceramiche vengono incollate usando la lacca urushi, una lacca estratta dalla pianta Rhus Verniciflua, presente in Giappone. La lacca urushi viene mescolata con farina di riso o farina di grano; questa sostanza ha forti qualità adesive ma necessita di una settimana per raggiungere una buona tenuta. Una settimana in un ambiente caldo umido, detto muro. Questa fase di stuccatura può essere ripetuta quante volte necessita fino a raggiungere un buon grado di perfezione. E sempre, ogni volta, occorrerà rimettere la ceramica nel muro.

Terminata la stuccatura e carteggiatura, sulle linee di rottura viene applicata a pennello la lacca urushi; tale lacca rossa viene usata per aumentare il tono caldo dell’oro che in seguito viene applicato.
Sulla lacca rossa, lasciata asciugare per una mezzora circa, viene depositata la polvere d’oro o la polvere d’argento (Gintsugi: gin – argento, tsugi – riparare)

Ogni oggetto riparato con questa tecnica, infatti, diventa unico nel suo genere. Non sarà mai possibile rompere due pezzi in maniera identica. Il risultato finale, dopo essere stato aggiustato, sarà sempre un pezzo d’arte unico al mondo.

 

Un fallimento, una caduta, un lutto, una cicatrice, restano indelebili e sono fonte di afflizione, vergogna, depressione, stati mentali alterati e negativi.

Il Kintsugi, con l’oro che mette in evidenza una rottura senza nasconderla, ci porta a riflettere che ogni cambiamento è un passo in avanti, anche quando si cade. Che se falliamo possiamo tornare a risplendere, che dal buio nasce la luce.

Questa visione esalta la bellezza dell’imperfezione e dell’effimero, ovvero “niente è eterno”. Nonostante quindi l’ineluttabilità di tutte le cose, vi è una bellezza profonda nella loro impermanenza, nel fatto che non rimarranno così come sono per sempre.

Nell’oggetto riparato si vede esaltata questa bellezza effimera poiché si ricompone in maniera sempre nuova e sempre più bella.

Questa è l’arte giapponese dell’accettare il danno: non possiamo cancellare ciò che è stato, piangere non riporterà la nostra tazza da tè com’era prima. Se però raccogliamo i cocci e ci rimbocchiamo le maniche, potremo riuscire a ripararla e a renderla ancora più bella di quanto non fosse prima: ma questo non sarà mai possibile se prima non accettiamo ciò che è stato.

Nonostante tutto quello che può capitarci, noi ci rimettiamo in piedi e continuiamo a vivere. Ogni volta che una ferita si chiude lascia una cicatrice.

Il significato spirituale del Kintsugi sta proprio in questo aspetto: non dobbiamo nascondere le ferite che abbiamo o vergognarcene, perché se le “ripariamo” nel modo giusto, ovvero superando il trauma che ci hanno lasciato e imparando da esso, diventeranno medaglie, trofei che celebrano le battaglie a cui siamo sopravvissuti.

Ogni ferita che ci portiamo dietro racconta chi siamo, da dove veniamo, cosa abbiamo sopportato fino ad oggi e come ne siamo usciti. Sarà la nostra personalissima arte di Kintsugi, una splendente cicatrice dorata chiusa a regola d’arte.

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